È noto che alcuni fattori predispongono all’insorgenza del cancro del fegato: l’epatite B e C, la cirrosi epatica, l’obesità, il diabete e alcune malattie genetiche come l’emocromatosi. La conoscenza di questi fattori di rischio rende necessario uno stretto controllo di questi pazienti.
Inoltre, negli ultimi 20 anni, lo sviluppo delle tecniche endoscopiche di eradicazione delle varici esofagee, che erano la più frequente causa di morte dei pazienti con cirrosi epatica, ha portato la durata media di vita di tali pazienti molto vicina alla durata della popolazione sana, per cui si è assistito ad un aumento di incidenza di cancro del fegato, soprattutto in presenza di positività del virus B e C.
E’ noto che le statine hanno un’azione di prevenzione sulle malattie cardiovascolari a causa dei loro poteri antiinfiammatori, antidegenerativi e perché agiscono sul sistema immunitario; da tempo si stanno studiando i loro poteri sulla prevenzione del cancro del fegato.
E’ recentemente uscito uno studio su Gastroenterology, una delle più autorevoli riviste internazionali di gastroenterologia, in cui Singh, uno studioso della materia, ha preso in esame 2336 studi rivolti a saggiare l’azione delle statine come fattore di prevenzione per il cancro del fegato: da questi ne ha selezionato 10.
Da questi 10 studi sono stati ulteriormente selezionati 4298 casi di pazienti con cancro del fegato su un totale di quasi 1.500.000 pazienti trattati con statine a livello preventivo.
I pazienti trattati preventivamente con statine hanno avuto una diminuizione dell’incidenza del cancro del fegato del 37%, mentre quelli non trattati non avevano alcun beneficio.
Il dato è sicuramente positivo ed incoraggiante. Ovviamente la casistica è estremamente eterogenea e va da soggetti asiatici con cirrosi da virus B a soggetti statunitensi con diabete.
Queste osservazioni, tuttavia, ci portano a supporre che studi futuri su popolazioni omogenee come fattori di rischio e come condizioni genetiche e socio-ambientali, dovrebbero non solo confermarci questi dati, ma dare risultati sensibilmente migliori sull’azione preventiva delle statine e consolidare la loro posizione come una sorte di “aspirina” del ventunesimo secolo.
Nicola D’Imperio